L’esaltante e tribolata storia di un’auto uscita dalla fabbrica senza i marchi distintivi per nasconderne la natura corsaiola e alla fine sparita nel nulla

A metà degli anni Sessanta, era il pater familias a suo insindacabile giudizio a scegliere il tipo di auto da regalare al figlio solitamente come premio per la maturità o la laurea, ma anche senza che questi avesse tagliato né l’uno né l’altro traguardo, soltanto per una promessa tante volte riecheggiata a tavola: “Niente motorino! Quando avrai l’età ti comprerò l’auto”. Sulla scelta del modello il contrasto padre-figlio fu aspro: la Fiat 500 per il padre, l’Abarth per il figlio. Si tentò un compromesso e lo studente universitario, il quale desiderava una 850 Abarth, si vide sì offrire una 850, ma Fiat seppure coupé. Siccome ognuno era fermo sulla sua posizione, intervenne la madre del ragazzo, la quale si disse disposta a pagare la differenza, a patto che non si venisse a sapere. Ma come fare a entrare in cortile con le scritte Abarth da tutte parti, senza che il padre si accorgesse dell’inganno?

Alla fine, una soluzione fu trovata. Si sarebbe ordinata al concessionario la vettura nuova, la Fiat Abarth OT 1000 (questa era la denominazione della Fiat 850 coupé elaborata dalla casa di corso Marche a Torino), ma senza le scritte. Dovevano restare sulla carrozzeria quelle della vettura di serie. Fu necessario recarsi nella sede dell’Abarth per concordare la richiesta, che venne accolta. Dopo qualche settimana, arrivò in cortile l’Abarth con le scritte Fiat. La fattura venne onorata con l’innesto dei soldi della mamma e il giovane studente incominciò a scorrazzare sulle stradine di campagna, sulle provinciali, sulle statali, sulle autostrade e nelle vie di varie città. Tradiva l’elaborazione soltanto la coppa dell’olio di dimensioni maggiori rispetto all’originale, sulla cui parte posteriore spiccava la scritta Abarth e i due strumenti indicanti pressione e temperatura dell’olio, collocati appena sotto la plancia quasi nella parte del passeggero, ma leggermente rivolti al guidatore. Particolari che passarono inosservati in famiglia, ritenendoli dotazioni della vettura di serie. Le prestazioni erano entusiasmanti: lo scatto da 0 a 100 km/h non era ancora contemplato, ma la ripresa era fulminea e la velocità massima arrivava a 160 km/h. Tutto filò liscio fino al primo tagliando, fissato a 1500 chilometri. Si trattava di un’operazione obbligatoria in quanto i motori, all’epoca, necessitavano di un periodo di rodaggio: l’olio perciò andava sostituito, le punterie regolate e le candele pulite. Lo studente, zelante, varcò il cancello dello stabilimento torinese, ma qui ebbe una sorpresa. Un dirigente, all’oscuro che fosse uscita un’Abarth senza scritte, si oppose e al giovane fu consigliato di portare la vettura per il tagliando in via Guastalla 14, sempre a Torino, in un’officina in cui lavorava un meccanico dell’Abarth che si era da poco tempo licenziato per avviare, coadiuvato dalla moglie, un’attività in proprio e che, conoscendo bene l’OT 1000, avrebbe saputo come metterci le mani.

L’inconveniente non dispiacque al ragazzo, tanto più che via Guastalla era molto più vicina a casa sua, a Torino dove frequentava l’Università, in via Chiabrera, proprio di fronte all’ingresso del palazzo del ghiaccio. Entrare nella piccola officina e dischiudersi un sogno fu tutt’uno. Ai lati maggiori erano parcheggiate delle Abarth da corsa, una 2000 rossa, una Simca-Abarth dello stesso colore e altre tre tra 1000 e 850 TC. Tutte preparate per le gare. La tentazione di modifiche corsaiole fu irresistibile, tanto più che il titolare, Enzo Osella (che in seguito costruirà l’omonima monoposto di F1), aveva tutto pronto e subito: distanziali, cerchi allargati, ammortizzatori speciali, impianto di scarico, volante, sedile anatomico e roll bar. Cinque giorni dopo il portalettere recapitò all’indirizzo dello studente un vaglia telegrafico con l’importo della preprazione: 300 mila lire. Due ore più tardi l’incontro con la sua Abarth preparata fu un evento che non scordò mai. Fu lo stesso Osella a guidare la macchina perché volle mostrare lui stesso le migliorie a cui era stata sottoposta.

Disse che si doveva percorrere circa un chilometro a 3500 giri, in prima, per scaldare il motore, quindi puntò su Superga e quella salita ha svolto il ruolo di un corso accelerato di guida sportiva. Colpì il giovane anche il fatto che, in previsione di una fermata, Osella mettesse l’auto in folle e alzasse il piede dal pedale della frizione. Difficile pensare a un giorno più felice, davanti alla muscolosità della linea della vettura conferita dai distanziali, dai cerchi allargati e dalla misura delle gomme maggiorata. Dentro, il sedile anatomico nero, il volante Nardi, il roll bar che avevano solo le auto da gara e un rombo nuovo che si spandeva in largo e in lungo. Fu però, come tutti i sogni di breve durata. Qualche giorno dopo, l’auto, parcheggiata sottocasa per una ventina di minuti, sparì e non venne più ritrovata.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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