Nella pianura padana centrale un cambiamento climatico è in corso da una ventina d’anni: quelle nebbie, che in passato erano talmente fitte da rendere difficile anche trovare la via di casa, sono sparite. Quando la coltre bianca nascondeva le strade della campagna cremonese, in auto, prima di attraversare gli incroci, si capiva soltanto dal rumore, abbassando i finestrini, se stesse sopraggiungendo qualche veicolo. In moto o in bicicletta si arrivava a destinazione con baffi e sopracciglia ricoperti da una bianca brinata. La circolazione diventava difficile e, al calar della sera, aumentava il rischio di collisioni. Frequenti tamponamenti a catena spedivano al pronto soccorso guidatore e passeggeri col colpo di frusta. Per migliorare la visibilità notturna, auto e camion venivano dotati di una coppia di fari antinebbia. Quello montato dal lato della guida, col fascio luminoso a lunga portata, serviva per illuminare il centro della strada, mentre l’altro rischiarava la sede stradale in larghezza. Il risultato era pessimo: la nebbia rifrangeva i raggi luminosi dei fari alzando davanti agli occhi del guidatore un muro bianco ancora più impenetrabile. La pubblica illuminazione, che dall’imbrunire all’alba oggi rischiara anche tanti tratti di strade provinciali e statali, si limitava alle vie cittadine. Le autorità sconsigliavano di mettersi in viaggio nelle ore serali, se non per motivi urgenti, in cui non rientravano soltanto quelli lavorativi, ma ve ne erano di altro genere ancora più inderogabili.
Tino, uno studente universitario che abitava a una decina di chilometri da Cremona, era riuscito a strappare a Isabella, conosciuta all’università, un appuntamento serale dopo mesi di tentativi andati a vuoto. L’aveva colpito non tanto il suo viso ma soprattutto il corpo, caratterizzato da un susseguirsi di superfici lisce e di perfette rotondità con un equilibrio che non sarebbe sfuggito a Fidia, il più celebre scultore di nudi dell’antica Grecia. Il nebbione, calato improvviso, non impedì a Tino di mettersi in viaggio nonostante il parere contrario dei genitori, preoccupati per le insidie legate alla scarsa visibilità. Dopo un’accesa discussione, il ragazzo, si diresse verso la sua Fiat 850 coupé inseguito dalla frase: “Se ti succede qualcosa arrangiati, non chiamarmi!”, urlatagli dal padre, un facoltoso ingegnere. L’arrivo in città non fu privo di angoscia: lungo il per corso che lo separava dall’appuntamento non si vedeva quasi nulla. Ma l’idea di sancire almeno con un bacio ciò a cui da tempo anelava, coronando un sogno, gli fece superare i momenti angoscianti che lo assalivano nei tratti di strada più bui. Si fermò davanti all’abitazione dell’amica e attese. Dopo un quarto d’ora in cui il sogno stava trasformandosi in un incubo, si aprì il portone, la ragazza si avvicinò al finestrino e gli disse che a causa della nebbia i genitori le impedivano di uscire, ma aggiunse che era invitato a trascorrere la serata in casa sua. Rifiutare sarebbe stato un atto di maleducazione tale da compromettere il futuro del suo disegno amoroso e, parcheggiata la macchina, si infilarono nell’ascensore. La serata stava trascorrendo in modo ben diverso da come se l’era configurata. Davanti alla televisione, in compagnia di papà e mamma, ebbe inizio una serie di domande atte a capire se fosse un buon partito. L’inchiesta familiare puntava a scoprire quali fossero le sue ambizioni professionali, a che punto fosse con il corso di laurea, quali i suoi interessi e quale fosse il livello sociale e soprattutto economico della sua famiglia. Verso le 11 di sera venne con cortesia congedato perché all’indomani Isabella doveva recarsi all’Università per lo scritto dell’esame di inglese e quindi era necessario che andasse a riposare. Nella coltre di nebbia ancor più densa, Tino raggiunse la macchina e, con il morale a terra, ripartì verso casa.
Un’autentica imboscata, si ripeteva, gli era stata tesa dalla fanciulla in cerca di marito, ben lontana dal desiderio di avviare una storia d’amore che non fosse coperta da un cospicuo conto in banca. Lo sguardo sempre attento alla strada gli aveva impedito di controllare gli strumenti e non si accorse della spia rossa accesa fin dal mattino a segnalare la scarsità di carburante. A quattro chilometri da casa, sussultando, il motore si fermò. Che fare? Telefonare a quell’ora al padre per chiedere aiuto poteva essere l’estrema soluzione. Ma da quale telefono? Intorno non c’erano case, né osterie né tantomeno cabine telefoniche. Nascosta dal buio e dal nebbione c’era soltanto una muta distesa di terreni agricoli. Avrebbe voluto chiedere un passaggio, ma a chi? Non c’era in giro nessuno. Lasciò la macchina sulla strada dove si era fermata. Si avviò a piedi. Fatti pochi passi sopraggiunse il camion del latte. Nella nebbia lo schianto. Poi, nel buio, una vampa, a rischiarare la notte.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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