A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l’automobile non era soltanto uno strumento di lavoro per chi doveva spostarsi da un posto all’altro per vendere o acquistare, ma occupava un ruolo importante come mezzo di divertimento. Spesso la domenica veniva organizzata in città o anche in qualche paese del circondario la “gincana”, anche chiamata gimcana o gimkana. Si trattava di una sorta di gara che si svolgeva su di un piazzale e consisteva nel percorrere un tracciato tortuoso, contrassegnato da birilli bianchi e rossi e complicato da frequenti cambi di direzione, da una retromarcia e da prove di varia abilità. Vinceva l’equipaggio che lo percorreva nel minor tempo e con il minor numero di penalità. Per partecipare bastava versare la modica somma di mille o duemila lire e non si dovevano sbrigare altre formalità. La patente di guida non veniva neppure esibita. L’aspetto divertente scaturiva dalla scarsa dimestichezza con la guida di molti concorrenti e dalle prove di abilità manuale, che strappavano grandi risate. All’epoca, durante lo svolgimento di una di queste manifestazioni sull’area del Foro Boario di Cremona, liberato per l’occasione dalle mucche, dai vitelli e dai tori destinati alla vendita, ogni equipaggio doveva superare la prova che consisteva nel fermarsi di fianco a un tavolino per consentire a chi sedeva di fianco, una volta abbassato il vetro del finestrino, di sollevare con le due mani un catino pieno d’acqua, che doveva poi reggere fuori dall’abitacolo fino a raggiungere un secondo tavolo, senza rovesciare neppure una goccia di liquido, su cui doveva depositarlo. La prova richiedeva una notevole abilità sia per il guidatore, che doveva far percorrere alla macchina quei pochi metri agendo con grande delicatezza su acceleratore e freno sia per il passeggero, che doveva tenere fermo e perfettamente orizzontale il recipiente. A nessuno dei concorrenti l’impresa era riuscita. L’equipaggio di cui ci occupiamo era composto da due amici di bevute, noti in paese come non particolarmente svegli, ai quali spesso venivano fatti scherzi dagli amici dell’oratorio proprio per la loro lentezza di riflessi. Esercitavano entrambi l’attività di muratori e già nel loro normale comportamento suscitavano spesso ilarità e derisione. Contro ogni pronostico, i due erano arrivati a un metro dalla conclusione della prova senza aver rovesciato neppure una goccia d’acqua. All’improvviso, nel silenzio che accompagnava le esibizioni, dal gruppo dei conoscenti che aveva preso posto proprio alla fine della difficile prova, si alzò un boato fatto di battimani, urla e frasi d’incitamento. Quel baccano imprevisto spaventò il guidatore, il quale perse la concentrazione e diede, per lo spavento, un’accelerata involontaria, che però mise in moto la massa d’acqua contenuta nel catino. Lungo il lato maggiore del tavolo, sul quale il recipiente andava posato, sedevano i giudici. Il muratore alla guida, per non oltrepassarlo, frenò bruscamente, imprimendo forza al moto ondoso che si era innescato nel catino e, quando venne depositato, l’acqua inondò tavolo e giudici, i quali, convinti che i due l’avessero fatto apposta, li squalificarono dando loro degli idioti e apostrofandoli con altri insulti.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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