Dopo anni di scarsa considerazione, le berlinette quattro posti a motore centrale dei marchi emiliani stanno oggi attirando l’interesse dei collezionisti, e le loro quotazioni hanno spiccato il volo, rendendo finalmente giustizia ai loro contenuti tecnici

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All’inizio degli anni Settanta Ferrari, Maserati e Lamborghini proposero un’inedita tipologia di vettura sportiva: la 2+2 a motore centrale. Una soluzione che oggi può apparire un controsenso, ma a quell’epoca la disposizione centrale del motore stava riscuotendo un tale successo, da far pensare che non se ne potesse fare a meno, perfino su vetture gran turismo che all’occorrenza avrebbero dovuto ospitare figli e bagaglio sufficiente per un weekend. La nascita di questi modelli “entry-level” rifletteva inoltre l’esigenza, da parte delle rispettive case, di ampliare i numeri produttivi. Per il solo mercato italiano, al fine di aggirare la pesante IVA al 38% sulle grandi cilindrate, furono presentate anche delle versioni due litri, che permisero di aumentare le vendite, ma le cui prestazioni modeste finirono col nuocere all’immagine generale di questi modelli. Per via dei non esaltanti risultati di vendita, a fine decennio il concetto della 2+2 a motore centrale fu abbandonato, con la sola eccezione della Ferrari, che lo portò avanti con alterne fortune sulla serie Mondial. Snobbate dai collezionisti, queste vetture hanno rappresentato per anni il fanalino di coda della produzione storica dei rispettivi marchi; tuttavia ultimamente le loro quotazioni sono decollate, sopravanzando anche modelli che avevano sempre goduto di migliore immagine.

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La prima ad esplorare questa particolare tipologia di auto fu la Lamborghini, desiderosa di capitalizzare la popolarità ottenuta con la Miura attraverso un modello più accessibile. Il design fu affidato alla Bertone, con Marcello Gandini che realizzò una linea originale ed aggressiva, mentre della parte tecnica si occupò il dinamico ing. Stanzani. La vettura presentava soluzioni innovative, come la disposizione trasversale del motore e le sospensioni a schema McPherson, che conferivano eccellenti doti di tenuta di strada, ma per il propulsore V8 fu scelta la poco pregiata soluzione monoalbero. La nuova P250 “Urraco” (nome, come da tradizione, di una razza di tori) fu presentata al Salone di Torino del 1970, ma per l’inizio della produzione ci vollero altri due anni, necessari allo sviluppo del progetto ed alla costruzione di una nuova ala dello stabilimento. Per ovviare ai difetti di gioventù dei primi esemplari, fu subito introdotta la più rifinita versione “S”.

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Quando tutto faceva presagire un buon successo, due pesanti tegole si abbatterono sulla Urraco: la crisi petrolifera e l’uscita di scena di Ferruccio Lamborghini, costretto a vendere il comparto automobili ad un gruppo svizzero. La nuova proprietà cercò di correre ai ripari nel 1975, presentando una versione due litri per il mercato italiano (P200) ed un nuovo motore tre litri bialbero, che diede origine alla “P300”. Con questa nuova e potente versione, il progetto arrivava finalmente al suo pieno compimento, ma ormai era tardi per raddrizzarne le sorti commerciali. La produzione della Urraco terminò nel 1979 a quota 795 esemplari venduti in totale, appena una trentina in più dell’inarrivabile Miura, rispetto alla quale si prefiggeva di divenire la vettura dei grandi numeri. Un’interessante appendice dell’esperienza Urraco fu la versione aperta “Silhouette”, su base P300, sulla quale i posti posteriori furono eliminati per permettere l’alloggio del tettuccio asportabile. Fu prodotta in una cinquantina di esemplari appena, ma tracciò la strada per la successiva “Jalpa”. Come tutte le Lamborghini, anche le Urraco sono oggi molto ricercate dai collezionisti: si parte dai 60 mila euro necessari all’acquisto di una P200, passando per gli 80 mila di una P250 fino ad arrivare alla soglia dei 100 mila euro per la rara ed ambita P300.

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Presentata al Salone di Parigi del 1972, la Merak (nome di una stella dell’Orsa Maggiore) è figlia degli anni in cui la Maserati gravitava in orbita Citroën. Per ampliare i volumi di vendita, la dirigenza francese aveva ipotizzato un modello più accessibile; per realizzarlo senza bisogno di grandi investimenti, si pensò di attingere a ciò che si aveva in casa, utilizzando la scocca della Bora e il motore C114, il V6 che l’ing. Alfieri aveva progettato per la Citroën SM. L’Italdesign riuscì a compiere su questa vettura un piccolo capolavoro: infatti mentre Gandini, nel realizzare l’Urraco e la Dino GT4, era dovuto inevitabilmente scendere a qualche compromesso stilistico per coniugare la sportività delle linee con l’abitabilità 2+2, Giugiaro riuscì a ricavare le sedute posteriori semplicemente sfruttando il minore ingombro del V6 rispetto al V8; ne derivò che la Merak non solo non perdesse nulla della sportività delle linee della Bora, ma che ne risultasse addirittura più snella e piacevole.
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Tuttavia la bontà del progetto venne in parte rovinata dall’invadenza dei francesi, che imposero alcune soluzioni palesemente inadatte a una GT emiliana, come il sistema frenante idropneumatico e il cruscotto (con volante monorazza), presi di peso dalla SM. Le vendite patirono inoltre la crisi energetica e la difficile situazione aziendale della Maserati, che nel 1975 fu messa in liquidazione dalla Citroën. Intervenne lo stato italiano, che la rilevò affidandola ad Alejandro De Tomaso. Questi si adoperò per eliminare dalla Merak le contaminazioni francesi: nacque così nel 1976 la versione SS, dotata di un nuovo interno più consono a una sportiva e di una trentina di CV in più. Nel 1977 anche la Maserati presentò la sua versione anti-IVA per il mercato interno, la Merak 2000 GT. Infine a partire dal 1980 la Merak SS fu dotata di un nuovo servofreno a depressione e del cruscotto della Bora, già presente da qualche anno sulle vetture destinate al mercato americano. La produzione terminò nel 1983 a quota 1830 vetture vendute. Le quotazioni delle Merak variano molto a seconda del modello: si parte dai 50 mila euro sufficienti all’acquisto di una 2000 GT per arrivare ai circa 100.000 necessari per una rara SS “modello’80”.

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Nei primi anni Settanta si poneva per la Ferrari l’esigenza di sostituire la Dino 246 e nello stesso tempo di rispondere ai nuovi progetti che Lamborghini e Maserati stavano preparando. Così a Maranello venne messo in cantiere il progetto di un inedito V8 tre litri con distribuzione tramite cinghia di gomma. Per il design Enzo Ferrari, affascinato dalle creazioni di Gandini degli anni precedenti, si rivolse, fatto unico nella storia del marchio, a Bertone. Ironia della sorte, Gandini propose per quest’auto le linee che avevano caratterizzato la sua prima proposta per la Urraco, scartata dalla Lamborghini, che invece venne accettata dalla Ferrari. Il risultato fu una linea elegante ed equilibrata, anche se distante dai canoni abituali Ferrari, che per questo motivo dividerà la clientela. Per una precisa disposizione del Drake, che riteneva il nome Ferrari appannaggio delle sole vetture V12, anche la nuova 308 GT4, presentata al Salone di Parigi del 1973, fu commercializzata con i marchi “Dino”.

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L’auto aveva ottime prestazioni, sia a livello dinamico, in cui si rivelerà perfino più valida della successiva GTB, sia a livello motoristico, grazie agli oltre 250 CV di potenza. L’iniziale successo nelle vendite fu però presto stemperato dalla crisi petrolifera e dall’arrivo della più avvenente 308 GTB di Pininfarina, che sottrasse alla GT4 quei clienti che non avevano la stretta necessità dei quattro posti. Nel 1975 fu presentata, per il mercato italiano, la versione 208 GT4, con il motore ridotto a due litri di cilindrata e 180 cavalli. A partire dal 1976, la 308 GT4 adottò i marchi Ferrari col cavallino rampante, mentre la 208 continuerà a essere venduta con i marchi Dino fino al 1980, anno in cui le GT4 uscirono di produzione. Ne furono comunque prodotti in totale 3666 esemplari, risultando pertanto il modello più venduto della triade oggetto di questo articolo. Dopo decenni di scarsa considerazione, alla lunga le sue peculiarità, come il fatto di essere stata la prima Ferrari V8 e l’unica disegnata da Bertone, hanno reso giustizia a questa vettura, le cui quotazioni hanno superato quelle di diverse Ferrari più recenti: si parte dai 50 mila euro delle Dino 208 GT4 per arrivare ad oltre 80 mila per gli esemplari meglio conservati di 308 GT4.

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AutoCapital ha avuto la possibilità di provare all’Autodromo di Modena queste tre vetture, per le quali il test ha costituito una sorta di ritorno a casa: il circuito sorge infatti a pochi chilometri di distanza dai tre stabilimenti nei quali furono costruite.

La Urraco della prova, una P250 S, è quella che può essere definita una vettura “conservata“. La posizione di guida è particolare, ma la seduta è morbida per i canoni Lamborghini ed il volante a calice si mostra leggero anche in manovra. Iniziamo a girare, il rombo è pieno e cupo, l’accelerazione è buona anche se, soprattutto ai bassi regimi, non fulminea. Ci colpisce la tenuta in curva, davvero notevole.

Veniamo ora alla Dino 308. Questo esemplare presenta due caratteristiche piuttosto rare da trovare: la prima è il colore, bianco, su un’auto che nella stragrande maggioranza dei casi veniva acquistata rossa o nelle tinte metallizzate scure; la seconda è il fatto che la vettura presenti tutti gli stemmi Dino al loro posto, senza essere stata tappezzata qua e là di cavallini. La componentistica interna, fatta di strumenti circolari e levette metalliche, ha un sapore tipicamente anni Settanta. In pista la 308 si rivela un’auto eccellente: sterzo diretto, accelerazione bruciante, tenuta di strada impeccabile, il tutto enfatizzato dal rombo entusiasmante del V8 Ferrari a carburatori.

Infine la Merak, una SS “modello’80” perfettamente tirata a lucido. Come da tradizione, l’interno Maserati appare più lussuoso e rifinito di quello della concorrenza. La posizione di guida è un po’ sdraiata, ma i sedili sono molto comodi. Il V6 Maserati mostra di non aver molto da invidiare ai V8 delle concorrenti: il sound è più acuto e ovattato, ma comunque piacevole, e le doti di accelerazione, così come quelle dinamiche, reggono il passo delle avversarie.

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Qual è la migliore di queste tre vetture? Difficile stabilirlo. Di certo c’è che ognuna trasmette in maniera evidente i caratteri distintivi del proprio marchio: la 308 GT4 è la più dotata a livello motoristico, sia come prestazioni che come sound; la Merak è quella più confortevole e stilisticamente più riuscita; la Urraco è la più rara ed “esotica”, con un plus di esclusività dato dal marchio Lamborghini. Insomma un’ardua scelta. E pensare che, solo pochi anni fa, con la somma oggi necessaria per acquistarne una, un collezionista lungimirante avrebbe potuto portarsele a casa tutte e tre.

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Claudio Ivaldi

Claudio Ivaldi

Giornalista, esperto di auto sportive italiane, con una predilezione per i marchi emiliani, di cui ama approfondire la storia. La passione per le belle auto gli è nata durante l'infanzia, proprio grazie ad AutoCapital.

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  1. […] #15218 at the V8 reunion: Lamborghini Urraco S, Maserati Merak SS, Dino 308 GT4 | AutoCapital […]

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