Il nome dato alla supercar Lamborghini evoca una vicenda umana che ha commosso il mondo, legata al tragico destino di Felix Guzman, il torero “bambino”

Ricordate la Lamborghini Reventón? Forse la prima ipercar con il marchio del Toro a essere prodotta soltanto in una ventina di esemplari, di cui l’ultimo fu consegnato nel 2008, dal costo superiore al milione di euro? Era una macchina spettacolare quando uscì: montava un V12 di 6,5 litri con 650 CV e superava i 330 km/h. Come per quasi tutte le Lamborghini, il suo nome è stato pescato nella sfera della corrida.

Il toro Reventón è passato alla storia della tauromachia non tanto per il suo ardimento quanto per la tradizione che vuole che abbia ucciso un torero in combattimento, nel corso di una corrida in Messico. Quel toreador si chiamava Felix Guzman. Il caso ha voluto che anche quel torero oggi possa simboleggiare la Casa di Sant’Agata Bolognese, in quanto di padre italiano e di madre tedesca, figlia di un fratello del filosofo Arthur Schopenauer: oggi la Lamborghini è un’industria automobilistica italiana di proprietà tedesca. In realtà Felix Kutmann (il suo vero nome, che trasformò sulle locandine secondo la pronuncia spagnola in Kuzman) non venne ucciso in combattimento. Ricevette un’incornata alla coscia della gamba sinistra nel terzo tempo della corrida, quando il matador agisce con la muleta e il toro attacca con maggiore pericolosità, ma il “torero bambino”, come era soprannominato per la corporatura esile, riuscì a uccidere Reventón tra gli applausi, facendo due giri dell’arena raccogliendo trofei, poi si recò nell’infermeria, sempre con le sue gambe. Qui venne stilata una prognosi di tre settimane, ma i medici non si accorsero che la ferita si era infettata. Morì per setticemia tre giorni dopo, alle 20.37 del 2 giugno del 1943. Al 29 di quello stesso mese avrebbe compiuto 20 anni. Era nato a Mixcoac, il sobborgo di Città del Messico che ha dato i natali al poeta Octavio Paz (1914-1998), premio Nobel per la Letteratura nel 1990. Del padre italiano non si sa altro se non che abbandonò la famiglia.

Felix Guzman, si legge nelle cronache dell’epoca, era un torero dotato di grande coraggio ma di scarsa tecnica. Aveva debuttato il 13 giugno del 1941 e, anche per la sua giovane età, divenne il beniamino degli aficionados messicani. Aveva già subito incornate, ma era sempre tornato nell’arena senza attendere i tempi di cicatrizzazione delle ferite per continuare a guadagnare soldi, di cui aveva estremo bisogno. Dall’età di 16 anni stava cercando di ricavare dalla professione di torero la fonte di sostentamento per la madre e la sorella minore, che vivevano in estrema povertà. Si dice che la madre fosse talmente preoccupata per la sorte del figlio che durante la corrida si aggirasse in preghiera intorno alla plaza de toros e a ogni urlo della folla sussultasse per il timore di un incidente al figlio. Quando Felix morì, la povera donna perse il lume della ragione: vagava per le strade della capitale messicana e chiedendo a gran voce: “Dov’è mio figlio?”. Ad aggravare il suo stato mentale compromesso dal grave lutto si era aggiunto anche il dolore per un altra tragedia. La moglie di Felix aveva dato alla luce il bambino che aspettava, ma era morto.

Nel combattimento fatale, Felix Guzman indossava il “traje de luz” (come viene chiamato il costume del torero) di colore bordeaux con corde di seta bianche e ricami d’oro. Era ormai la fase finale. Scelse una figura molto pericolosa: portare la muleta verso l’alto per costringere il toro che attaccava ad alzare la testa e in quel movimento le corna strisciano quasi sulle cosce. Lo fece una prima volta, una seconda e una terza in quella rapida e spettacolare sequenza che manda in visibilio il pubblico scatenando entusiasmo e applausi. Nel “tercero de muleta” la parte conclusiva della corrida, però, ogni toro ha capito come attaccare e Felix Guzman subì l’incornata nella coscia sinistra che gli risulterà fatale. Tutto il Messico fu colpito dalla notizia della morte del torero bambino e a lui vennero dedicati articoli di giornale, saggi, onorificenze funebri. Tre anni fa, nel settantesimo anniversario della morte, il tragico episodio venne ancora ricordato con grande partecipazione. Anche Octavio Paz aveva sottolineato con commozione la tragica vicenda del torero colpito da un destino avverso. Con questa poesia: “Due corpi, uno di fronte all’altro/sono a volte due onde/e la notte è oceano// Due corpi/uno di fronte all’altro/sono a volte due pietre/e la notte deserto// Due corpi, uno di fronte all’altro/sono a volte radici/nella notte intrecciate// Due corpi, uno di fronte all’altro/sono a volte coltelli/e la notte lampo”. La morte del torero: un evento che colpisce l’animo dei poeti, come dimostra il celebre “Lamento per la morte di Ignazio Sanchez Mejías” di Federico Garcia Lorca (1898-1936), un torero che fu incornato nel 1934 nell’arena di Manzanares in Spagna. Anche in quel caso la ferita si era infettata.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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