Nel salottino contrassegnato da una scrivania blu con alcune sedie in tinta, adibito a ufficio durante le ore in cui era aperta l’officina e come salotto quando il lavoro si fermava, erano soliti incontrarsi, a fine giornata, alcuni amici, clienti del titolare, accomunati dall’amore per il motore, vecchio o nuovo che fosse, di moto e macchine. Gli avventori non erano sempre gli stessi e perciò si potevano fare incontri imprevisti.

Al tramonto di un giorno di mezza estate, tra i vari argomenti che furono accennati, prese interesse il ricordo di un vecchio professore di filosofia, Giuseppe Berti, che insegnò per decenni al Liceo Classico “Daniele Manin” di Cremona. Il suo metodo d’insegnamento era giudicato un po’ anomalo, in quanto egli aveva a cuore, più che le teorie filosofiche dei greci antichi, le problematiche pseudo sentimentali dei giovani allievi. E tanti studenti che non avevano colto il valore della figura di questo professore, rimasero ancorati, anche dopo il liceo, alla convinzione che si trattasse di un insegnante un po’ esaltato, buono d’animo, generoso di carattere, molto pio, ma pur sempre di poco conto. Un’idea spesso condivisa anche dal collegio docenti. E anche a distanza di decenni, quando tra i due ex allievi venne fuori “il professor Berti”, si capì che quella fama, a distanza di oltre mezzo secolo, non era stata minimamente scalfita nelle loro convinzioni.

Ma spesso la realtà è ben diversa rispetto ai giudizi superficiali che si danno dei professori, quando si è studenti. E, quella sera, tornato a casa, uno dei due, medico ormai in pensione, si prese la briga di cercare su internet qualche notizia, se mai ci fosse stata, su Giuseppe Berti. Ecco cosa trovò: “Durante la prima guerra mondiale combatté sul Montello nel 7° Reggimento tele­grafisti. Dopo la guerra insegnò nelle scuole elementari. Presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano si laureò in materie letterarie nel 1927. Conseguì pure, nel 1936, il diploma in paleografia e archivista presso l’Archivio di Stato di Milano. Al liceo classico “Daniele Manin” di Cremona, insegnò filosofia dal 1938 al 1970. Partecipò alla fondazione del Partito Popolare Italiano e si impegnò strenuamente nella difesa della libertà, subendo anche violenze fisiche nel 1923. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza nel cremonese, seguendo i suoi giovani arruolati nelle formazioni partigiane. Fu arrestato a Piacenza il 7 dicembre 1944. Fu liberato nella notte fra Natale e Santo Stefano grazie all’intervento di Giuseppe Prati, comandante della Divisione Val d’Arda: fu scambiato con un sergente della Repubblica Sociale Italiana. Eletto deputato al Parlamento Italiano nella legislatura 1948-55, nei suoi interventi portò la sua attenzione in particolare sui problemi scolastici. Si impegnò con fervore nella FUCI (1940-41) e, per molti anni, nell’Azione Cattolica della quale fu Presidente dell’Unione Uomini prima (1937/46) e poi Presidente Diocesano (1946/55); portò la sua parola di fervente educatore, animatore, evangelizzatore di giovani e adulti in tutta la diocesi, anche nelle piccole parrocchie di montagna. Furono suoi amici e ammiratori: Giorgio La Pira, Carlo Carretto, Luigi Gedda, Raimondo Manzini, Giuseppe Lazzati. Costituì a Piacenza, nel 1947 e lo diresse fino alla morte, il ROD: Reparto Operaio Diocesano dell’Associazione di Spiritualità Getsemanica fondata da Luigi Gedda. Pur essendo uomo di scuola, sentì fortemente i problemi del mondo operaio e vi si impegnò con dedizione, attraverso l’associazione delle ACLI, operando sul piano organizzativo e formativo: corsi residenziali per dirigenti, scuola sociale di circolo, corsi militanti, Centro ENAIP per l’istruzione professionale. Per molti giovani e studenti fu un vero maestro di umanità e testimone di una profonda fede laicale. In tanti ricordano il suo stile sobrio, la sua capacità di ascolto, la sua premura nel farsi carico dei problemi. Fu primo Presidente dell’Istituto Storico Piacentino della Resistenza. Abbondante e profonda la sua produzione scientifica, particolarmente orientata ai temi della realtà piacentina: il pensiero filosofico, il movimento cattolico, la resistenza e i problemi giovanili. Il professor Giuseppe Berti è deceduto il 7 giugno 1979 in seguito alle conseguenze di un investimento da parte di un’auto, davanti alla chiesa alla quale si recava per la messa giornaliera”.

L’indomani fu grande la meraviglia dell’ex allievo. L’altro interlocutore raccontò che, alla fine della seconda liceo, avendo già ottenuto la patente di guida, accompagnò con la Fiat 600 il professor Berti al Santuario di Caravaggio, come da suo desiderio. Nonostante la guida spericolata, il professore fu imperturbabile per tutto il viaggio. Erano già i segnali del processo di beatificazione che Giuseppe Berti ha oggi in corso a Roma?

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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