Un’estate italiana del primissini anni Sessanta fra gente che parte senza andarsene mai

“Ti voglio cullare, cullare, posandoti sull’onda del mare, del mare…”.

La radio trasmetteva, in uno dei primi programmi musicali dedicati ai giovani, la canzone di Nico Fidenco. Siamo nei primi giorni dell’agosto 1962, in un’estate torrida come solo può esserlo nella pianura cremonese, che infondeva un irrefrenabile desiderio di cambiare aria. E la città si andava svuotando e anche puntando le vicine colline del Piacentino, in verità prive di attrattive, ma dove già ci si illudeva di respirare l’atmosfera della vacanza.
Ottenuto il diploma scientifico, Mino, studente diligente e figlio irreprensibile, contava i giorni, le ore, i minuti. Il primo sabato d’agosto, la data dell’appuntamento, stava per arrivare. Si svegliò di buon’ora per dare una mano ai genitori a collocare le valigie nel bagagliaio della Lancia Flaminia lucida di fabbrica. Stavano lasciando Cremona avendo come meta Forte dei Marmi, nota località di villeggiatura e punto d’incontro della borghesia cremonese, per trascorrere qualche settimana al mare. Dopo essere stato subissato da raccomandazioni che duravano da tre settimane, Mino salutò la partenza dei genitori con un grande sospiro di sollievo. Un uomo. Così si sentiva nei suoi diciott’anni. Un uomo che poteva, per la prima volta, restare a casa solo anziché seguire, come ogni estate, i genitori nella casa al mare. Davanti a lui tre settimane fra l’afa, l’umidità e le zanzare, ma padrone della sua vita.
Con un balzo egli si tolse dal punto del viale dove aveva appena celebrato il commiato. Salì subito sulla Fiat 500, di cui da qualche settimana soltanto era entrato in possesso. Non perse tempo. Neopatentato e incosciente come si può perdonare solo a chi è giovane e innamorato, si mise in marcia in tutta fretta, senza aver neppure dato un’occhiata allo specchietto retrovisore: quell’appuntamento non poteva aspettare. Lei, coetanea ma più matura, era sulla porta in fremente attesa, la borsa con i panini in una mano, la coperta per il picnic nell’altra. Egli ebbe appena il tempo di accostarsi al marciapiede che lei già sprofondava nel sedile, temendo un improvviso ripensamento di sua madre, a cui aveva strappato il permesso per quella gita fuori porta solo dopo una lunga disputa. “Partiamo!” esclamò la ragazza, rossa in viso per la calura e l’eccitazione. Mino fu sorpreso da tanta concitazione, ma ben presto si riprese ed eseguì di buon grado l’ordine di mettersi in marcia. Tentò, goffamente di eseguire la “doppietta”, ma non evitò quell’odioso scardinare di ingranaggi ferrosi. Neppure il rombo del motore riusciva a rompere il silenzio che l’emozione di averla vicino gli scatenava dentro. “Portami in spiaggia”, scherzò la ragazza per rompere il ghiaccio: sapeva bene che il mare era troppo lontano per tornare all’ora di cena. Poi gli prese la mano appoggiata sulla leva del cambio. La sabbia di un piccolo fiume, quando si è innamorati, sembra quella del mare, con granelli che confondono i corpi degli innamorati, al punto che giurarono di aver visto il mare all’ombra di una Fiat 500 abbandonata sulla golena del Po, mentre Fidenco cantava:

“…legandoti a un granello di sabbia, così tu, nella nebbia più fuggir non potrai e accanto a me tu resterai.”
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