Viviamo in una società che, anche nello sport, ama vietare. Rispetto al passato, infatti, per partecipare a una gara automobilistica, oggi bisogna espletare una marea di pratiche, osservare un gran numero di norme, che riempiono d’orgoglio chi deve controllarne il rispetto, e tutta una serie di obblighi fino a ieri ignorati. L’automobile, insomma, è stata particolarmente bersagliata da un crescendo di vessazioni andato di pari passo con la sua diffusione, diramandosi, oltre che verso la normale circolazione, anche alle corse.
Oggi, per potersi schierare sulla linea di partenza di una gara, bisogna aver superato la visita medica, aver ottenuto la licenza e la fiche, mentre ieri l’iter burocratico era molto più semplice. In proposito, all’inizio degli anni Sessanta, a Cremona, venne organizzata, in una domenica d’agosto, una manifestazione automobilistica denominata “Il chilometro lanciato”, approfittando dell’allargamento, appena concluso, del rettilineo della Paullese a ridosso della città. Per potervi partecipare bastava pagare la quota d’iscrizione, avere a disposizione una vettura, essere in possesso della patente. Nient’altro.
Ai lati dello stradone curiosi, amici e conoscenti a fare il tifo. Dopo un lancio di alcune centinaia di metri, entravano in azione i cronometristi che prendevano il tempo ai concorrenti, per i quali non c’era neppure l’obbligo di indossare il casco. L’emozione, che al momento del via, assaliva improvvisati piloti come il pasticcere o il mediatore di cereali, era determinata dalla presenza del pubblico, dalla linea di partenza, dalla bandiera a scacchi e li condizionava a tal punto da far sbagliare anche le manovre più semplici. Le “grattate” suscitavano grandi risate, sberleffi e salaci commenti. A causa della calura, (l’aria condizionata in auto era di là da venire), c’era chi si rimboccava le maniche della camicia, chi affrontava la prova in canottiera e il poco edificante spettacolo offriva al pubblico un soprassalto d’ilarità. L’evento divenne tanto seguito da attirare “piloti” che non ti saresti aspettato capaci di slanci agonistici, come l’impiegato della porta accanto, incurante degli sfottò dei conoscenti, fiero di mostrarsi al volante della sua utilitaria.
Alla gara, l’importante era partecipare, anche se alla fine non mancavano imprecazioni per la mancata vittoria. Reclami non potevano esserci, dal momento che non esisteva nessun regolamento da infrangere e, alla fine del pomeriggio, pubblico e gareggianti sfollarono ampiamente soddisfatti. Tornando verso casa, qualche motore arrancava per lo sforzo a cui era stato chiamato, qualche auto veniva fatta ripartire a spinta o più raramente veniva trainata dalla solidarietà che contraddistingueva gli automobilisti della prima ora. Uno spettacolo e un divertimento oggi irripetibili. Altro che correre in canottiera, oggi c’è l’obbligo della tuta ignifuga, del sotto-tuta, dei guanti, del casco omologato e, soprattutto, bisogna presentare esami clinici che confermino l’idoneità del soggetto a sostenere emozioni che potrebbero avere riflessi negativi sul muscolo cardiaco. Poi, per quanto riguarda la vettura, non solo bisogna adeguarla alle norme imposte, con un’infinita serie di dotazioni, dal roll bar al parabrezza speciale, ma bisogna anche trasformarla in auto da corsa, intervenendo sulle varie componenti della meccanica. Infine, ottenere il permesso di usare la strada per la gara è talmente complicato e difficile da far desistere dall’impresa molti organizzatori. E poi ci vogliono commissari, infermieri, dottori, ambulanze. Tutto sacrosanto, si capisce. Ma chi potrà mai più gustare il divertimento di vedere il proprio droghiere, o l’amico macellaio obeso, impegnarsi al volante? Oggi, i piloti non si distinguono l’uno dall’altro.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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