Nell’Italia del dopoguerra, il parco circolante era scarso e l’automobile costituiva un ambito status symbol. Avere una piccola utilitaria rivelava già la condizione di benestante. Infatti, in una località del Cremonese, come segnale di grande deferenza, venne regalata al nuovo parroco una Fiat 500 C. Con finale imprevisto

In passato, possedere un’auto costituiva uno status symbol molto più ambito rispetto a quanto lo sia oggi. Non c’era bisogno della fuoriserie: per entrare nella cerchia, allora molto ristretta, delle persone facoltose, bastava un’utilitaria, tanto era scarso il parco circolante. Eravamo nei primi anni Cinquanta, il boom economico era lontano, ma già iniziavano a prendere corpo nuove iniziative commerciali da parte dei più intraprendenti, liberi dalla burocrazia: non esisteva neppure un preciso orario di lavoro e l’attività si svolgeva anche per l’intera giornata di sabato e, spesso, anche alla domenica mattina.
In una piccola località della Bassa Cremonese, che comprendeva, oltre a grandi distese di campi fertili, la chiesa parrocchiale, la cooperativa “La Famiglia”, cioè l’osteria del paese, luogo d’incontro (e di libagioni) dei braccianti agricoli, la scuola elementare, che sorgeva nella piazzetta di fronte alla chiesa e l’oratorio, col cortile dei giochi in comune con la casa parrocchiale. La frazioncina aveva fama di essere un ambiente pio e devoto, dove al parroco si assegnava, ancor più che al medico condotto, il ruolo del più autorevole.
Ai primi di maggio di uno di quegli anni, apparvero, incollati alla facciata delle case, della scuola e della cooperativa, dei rettangoli di carta bianca su cui campeggiava la scritta: “Evviva il nostro Pastore!”. Annunciavano l’ingresso del nuovo parroco, dato che il precedente, Don Vittorio Formaggia, era ormai arrivato alla frutta del suo apostolato per raggiunti limiti di età. Si stava organizzando un evento che avrebbe dovuto testimoniare il riguardo con cui veniva accolto il nuovo pastore di anime. Oltre alla cerimonia religiosa, con messa cantata, due prediche (quella di ringraziamento del sacerdote uscente e l’omelia programmatica dell’entrante) e, ancora, vespri e benedizione, nel pomeriggio era in programma, nel cortile delle suore dove era stato eretto un improvvisato palcoscenico, la rappresentazione da parte delle giovani e dei giovani di azione cattolica di una commedia, scritta da un agricoltore della zona, con l’hobby del racconto. Le sedie di tutte le file erano occupate e, sul fondo dell’aia, alcune decine di persone seguivano lo spettacolo in piedi. In prima fila, al centro, il nuovo sacerdote, di cui la maestra dell’asilo aveva notato la somiglianza con lo Scià di Persia, e accanto a lui l’agricoltore più devoto tra tutti i proprietari terrieri del circondario. Sedevano poi il medico condotto, l’autore della commedia e il responsabile delle lezioni di catechismo, impiegato in un istituto di credito di Cremona. Di fianco al palcoscenico, sul lato minore del cortile, restava uno spazio largo un paio di metri, nascosto dal tendone cucito dalle suore. Prima che si aprisse il sipario, il responsabile del catechismo prese la parola e, svanito il brusio, iniziò a tessere le lodi del nuovo prete.
A un determinato segnale il tendone venne tirato da parte, e una Fiat 500 C blu, usata, spinta a mano da quattro giovani, fece il suo ingresso trionfale. Era il prezioso regalo che il facoltoso agricoltore faceva al nuovo parroco. Il copione prevedeva che l’auto venisse fermata davanti alla sedia del presule, invece, per la foga con cui venne sospinta, finì per travolgere lo stesso prete e la sedia, mandandoli entrambi a gambe all’aria tra le irriverenti risate del pubblico.

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Sperangelo Bandera

Sperangelo Bandera

Giornalista professionista, per 18 anni corrispondente del Corriere della Sera, oggi è Vice direttore di AutoCapital. Mosso dalla passione in tutto ciò che fa, scrive e descrive solo le automobili che guida per amore: conta forse altro nella vita?

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